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Rajan Craveri

Apicoltura Muande Bellacomba

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Il linguaggio delle api è fatto di movimenti ripetuti nell’aria, voli dall’aspetto simmetrico, vere e proprie danze che, con un linguaggio dei segni, sono in grado di trasmettere informazione sul tipo di fiori che si possono trovare, sulla loro direzione e distanza. Rajan Craveri ha deciso di dedicarsi alle api dopo avere a lungo sperimentato la danza, le luci, gli effetti sonori nel mondo dello spettacolo. Ha quindi cambiato il suo soggetto ma non la sua passione, che è ancora fatta di danza, di colori luminosi e di suoni. Le ballerine sono la comunità delle api, così complessa e così operosa da essere nei secoli stata comparata ad una società perfetta ed organizzata. In un bilancio che deve essere equo tra ciò che l’ape può lasciarci e ciò che deve conservare per se, si inserisce il ruolo dell’apicoltore, tanto più importante se pensiamo che questi utilissimi insetti sono anche tra gli impollinatori più attivi delle piante che ci sfamano.

Note a margine

a cura di Anna Raucci

• MINUTO 16:34 \ Nota 1 \

CAMBIO VITA

Cambio lavoro. Cambio vita. E perché no, ne scelgo una che mi soddisfi davvero. Sembra un sogno collettivo, oggi. Abbandonare i ritmi meccanici della società, ritornare, forse, a ritmi che ci sembrano più umani. La scelta del corso di studi, e poi della carriera, è vissuta come un passaggio fondamentale. Abbiamo l’esigenza di arrivare a un obiettivo con il minor numero di passi possibile, di incanalarci in un percorso già tracciato e sintetizzare la nostra vita nel curriculum. Andrea Colamedici e Maura Gancitano, autori del libro “La società della performance”, edito da Tlon, dicono che “l’intera vita delle società in cui dominano le più avanzate innovazioni tecnologiche si annuncia come un immenso accumulo di performance” e “chi vive nella società delle performance è un performer (…) (che) desidera avere prestazioni sempre migliori”. Gli autori osservano che è necessario “aprire uno squarcio, una finestra che lasci entrare la prospettiva della vocazione”, e che “seguire la vocazione significa domandarsi sempre se ci si trova sulla strada giusta”, per cui “si percepisce di star agendo senza condizionamenti, in piena libertà”. Le ragioni più comuni per l’abbandono del posto di lavoro, negli ultimi due anni, sono legate a richieste di aumento del salario, di orari flessibili, della possibilità di lavorare da remoto. Si parla di Great Resignation, Grandi Dimissioni, per indicare questo fenomeno, avvertito soprattutto a partire dal 2022. Tuttavia, spesso la via d’uscita dai ritmi disumani è il recupero di mestieri più sostenibili e più gratificanti, non necessariamente privi dell’elemento della performance, talvolta anche artistica – una performance volontaria, libera nel suo essere scelta. In questo caso, è la vocazione a giustificare le dimissioni, una vocazione che interessa anche chi ha costruito una solida carriera e decide di dedicarsi alle proprie passioni. Sebbene sia un fenomeno non nuovo, sembra affacciarsi all’orizzonte un nuovo modo di vivere le scelte professionali, che non esclude ma abbraccia la multipotenzialità, e cioè l’attitudine di chi coltiva più interessi. Talvolta si tratta di un Violon d’Ingres, una passione parallela. L’espressione – che è anche il titolo di un’opera di Man Ray – prende il nome dall’artista francese Jean-Auguste-Dominique Ingres, che, oltre a dipingere, dedicava il suo tempo anche alla musica. Non è detto, però, che il cambiamento non sia radicale. Tra gli artisti noti per il cambio di carriera c’è Kandinskij, che si dedicò all’arte a trent’anni, dopo aver studiato giurisprudenza. Tra le scrittrici c’è Toni Morrison, che aveva quasi quarant’anni quando fu pubblicato il suo primo libro, L’occhio più azzurro. Sono molti gli esempi di persone che hanno seguito la propria vocazione optando per la metamorfosi, per l’apparentemente impulsiva deviazione di percorso, e ottenendo il successo. Dopotutto, come diceva Einstein, “la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario”.

• MINUTO 1:08:50 \ Nota 2 \

LA DANZA DELLE API

“La vita dell’ape è come una sorgente magica: più acqua attingi, più la sorgente si riempie” (Karl Von Frisch). Il linguaggio delle api è un codice che si serve di suoni, odori e inclinazioni del corpo. Gli studi condotti da Karl Von Frisch (autore del libro Il linguaggio delle api) hanno mostrato che la comunicazione, per questi insetti, avviene mediante una forma di idioma collettivo utilizzato per segnalare la posizione di polline e nettare, o di zone propizie per la nidificazione. Von Frisch tracciava macchie di colore sul torace delle api, seguendone il volo, per decodificare i significati dei loro movimenti. Le sue ricerche gli sono valse il Premio Nobel in Medicina, ottenuto con Tinbergen e Lorenz nel 1973. Con la successione di fasi oscillatorie e di ritorno, e tramite vibrazioni, l’ape comunica all’alveare la distanza e il tipo di risorsa che ha trovato. Si parla infatti di danza circolare e danza dell’addome dalla tipica forma a 8. Frequenza e durata delle fasi oscillatorie sono gli indicatori di riferimento perché le compagne possano trovare le risorse promesse, la cui posizione viene fornita in riferimento a quella del sole. Pare che la segnalazione si serva in primis dello scambio di particelle raccolte durante l’esplorazione, scambio che avviene tramite il contatto tra le api operaie rimaste nell’alveare e le bottinatrici di ritorno dall’esterno. Le api riescono così ad orientarsi nel territorio, sebbene le informazioni ricevute non permettano loro di trovare con precisione il luogo di raccolta ma solo di identificare un’area, più o meno vasta, in cui sono presenti le sostanze da collezionare (per tornare indietro, invece, possono orientarsi anche con i colori, che vengono infatti spesso utilizzati dagli apicoltori per contrassegnare l’alveare). È un meccanismo, questo, che ha tenuto in vita generazioni di insetti ed è stato osservato anche in vespe e formiche. Queste ultime, ad esempio, usano i feromoni per lasciare traccia del proprio passaggio, con l’obiettivo di segnalare il cibo e i pericoli. Persino i fiori si sono evoluti in modo da interagire con l’ambiente circostante, avendo sviluppato dei colori che attraggono gli impollinatori, indispensabili per la loro riproduzione. Si tratta di gerghi corali e non verbali, che deviano dalla nostra nozione di linguaggio e appartengono a specie che schiacciamo, che ci appaiono piccole e inermi, passive, ma sono depositarie di un sapere antico e prezioso, a noi ignoto. Il linguaggio degli impollinatori è solo un tassello della complessità di cui è intrisa la natura, una complessità che è spesso invisibile ai nostri occhi.

• MINUTO 1:19:19 \ Nota 3 \

LA COMUNITA’ DELL’ALVEARE

Migliaia di piccoli corpi che lavorano a stretto contatto tra celle e miele, in un incastro perfetto. La vita nell’alveare è retta da una rigida suddivisione dei ruoli, che tiene conto di criteri come l’anzianità delle api operaie. Esistono le esploratrici, le bottinatrici che raccolgono sostanze come nettare e polline, le operaie addette alla pulizia, quelle che nutrono le larve, e le api guardiane. A questa suddivisione di ruoli non sfugge la regina, la cui fertilità è al servizio dell’alveare. Si instaura così un microcosmo fatto di schemi almeno apparentemente infallibili. Ci si potrebbe chiedere se lo stesso modello di società sia proponibile per le comunità umane, se si possa recuperare e apprendere qualcosa dagli insetti. Più volte l’umanità ha provato ad applicare modelli utopici fondati sulla produttività, che replicassero anche solo in parte gli schemi delle api. Un esempio emblematico è quello dell’Ordine dei Certosini. Fondato nel 1084 da San Bruno, prevede la preghiera, la penitenza e il lavoro come componenti essenziali della vita dei monaci. La solitudine, vissuta nelle celle individuali, è una caratteristica dell’ordine. Dalla cella al chiostro, la giornata è scandita da incarichi specifici, in un incontro di braccia e di mani giunte, secondo schemi non distanti da quelli di un alveare. Un altro esempio di comunità-alveare è quello del setificio di San Leucio, costruito come prototipo ideale di città industriale. Nel 1789, dopo la costruzione della Reggia di Caserta, per volontà del re Ferdinando IV di Borbone fu consegnato al filatoio uno statuto che prevedeva tre principi fondamentali: l’educazione, la buona fede e il merito. L’obiettivo del re era quello di fondare una nuova città, Ferdinandopoli. Tuttavia, il setificio non riuscì a conservare a lungo la sua unicità: già nel 1861 fu privatizzato. Di comunità basate sul lavoro parlano anche le teorie di Saint-Simon, a cui si deve la corrente del positivismo sociale, che propone una società fondata sulla tecnica e sulla conoscenza. Il filosofo immaginava che il potere fosse affidato agli scienziati e agli esponenti dell’industria. Nel 1819 sosteneva: “Se la Francia perdesse improvvisamente i tremila individui che occupano le cariche politiche, amministrative e religiose più importanti, la nazione non ne subirebbe alcun danno; se invece perdesse tremila tra i più abili scienziati, artisti e artigiani, il danno sarebbe irreparabile”. L’immagine dell’alveare come unione di luogo di lavoro e casa è forse ancora più evidente nei villaggi operai, come Crespi d’Adda, in Lombardia, o Schio, in provincia di Vicenza. È nel 1877 che si costruisce l’ambizioso connubio di abitazioni e fabbrica (un cotonificio) di Crespi d’Adda. Nell’ordinato reticolo del paese si ritrova traccia della stessa esigenza di articolata schematicità che si legge nelle celle esagonali delle api.
La storia è costellata da tentativi di riprodurre il microcosmo dell’alveare, le sue convivenze forzate e la devozione dello spazio alla produttività. Tuttavia, la ricerca diffusa di questi modelli di società non si è tradotta in nessun caso in schemi duraturi. Gli ingranaggi del mondo delle api non saranno forse mai applicabili all’umanità, e travasare l’ingannevole perfezione del mondo animale nel nostro sembra, ad oggi, impossibile.

• MINUTO 1:33:04 \ Nota 4 \

MIELE MILLEFIORI

Miele di acacia, castagno, tiglio, tarassaco. Sono tutti mieli monofloreali, anche detti monoflora o mono-origine, ottenuti in prevalenza dal nettare di una sola tipologia di fiore. Come suggerisce il nome, il millefiori o multifloreale è il prodotto dell’interazione tra l’alveare e la varietà di specie presenti nell’ambiente circostante. Per entrambi, le mansioni dell’ape sono le stesse. L’insetto impollinatore si procura il nettare dalle piante a cui può accedere, diviene sintesi del mondo a lui visibile. È l’apicoltore che con il posizionamento delle arnie orienta il lavoro dell’alveare. Si assicura, in primis, che i melari siano vuoti nel periodo in cui comincia la fioritura prescelta, i cui tempi sono scanditi dai ritmi della natura. In primavera il tarassaco, da ottobre a dicembre l’eucalipto, ad aprile melo e pero, a maggio l’acacia. Il miele millefiori è figlio dell’unione tra territorio e api, massima espressione della complessità del territorio. Si distinguono millefiori chiari e millefiori scuri, e il sapore e la consistenza dipendono dalla flora locale, così come le proprietà del miele, manifestazione tangibile di biodiversità. Il consumatore, di fronte alla scelta tra monoflora e multifloreale, crede erroneamente che il primo goda di uno status di superiorità, per la possibilità di definirne univocamente le caratteristiche organolettiche e le componenti. Anche il costo, minore per il millefiori, contribuisce a rafforzare la convinzione della ridotta qualità di questo prodotto. In realtà, il costo del millefiori è inferiore perché l’intervento dell’apicoltore sulle arnie è ridotto al minimo. Dettaglio non trascurabile è il fatto che in Italia non possa definirsi millefiori un prodotto ottenuto dalla miscelazione di diversi mieli. La preferenza per il miele monofloreale è forse riconducibile ad un’istanza di più immediata etichettatura del prodotto, e alla ricerca di una “purezza” che rinnega la complessità, e la ricchezza dell’ambiente. Filtrato dall’apicoltore per soddisfare il palato del consumatore, il miele monofloreale tenta di omologare ciò che non è riproducibile, di semplificare la complessità, la cui eco marchia il dolce prodotto delle api.
Guida ai mieli d’Italia, Osservatorio nazionale miele, 2020;

• MINUTO 1:41:02 \ Nota 5 \

LA PROPOLI E LA PICCOLA FARMACIA CHIMICA DELLE API

I prodotti dell’alveare possono essere utilizzati con funzione terapeutica. Si tratta della cosiddetta “apiterapia”, che prevede l’impiego non solo del miele, ma anche di altre sostanze ricavate dal lavoro delle api. Tra queste, in primis si usano la propoli, la pappa reale e l’apitossina.
La propoli, dal greco πρόπολις (che deriva da προ, avanti, e πόλις, città, e significa letteralmente “difensore della polis”), è prodotta dalle api con la resina raccolta a partire da alcune specie vegetali. Nell’alveare è utilizzata con funzione isolante e di costruzione. La propoli ha un colore che varia dal giallo al marrone, e un odore intenso. Gli antichi Egizi la impiegavano nel processo di mummificazione. I Greci la utilizzavano come sostanza cicatrizzante e ne conoscevano le proprietà antisettiche. La propoli ha numerosi benefici sulla salute: è un antimicotico e antimicrobico, ha proprietà cicatrizzanti, antivirali, antiallergiche, accelera la guarigione delle ferite, ha un impatto benefico sul metabolismo.
La pappa reale – una sostanza fluida, bianca e amara, prodotta dalle api operaie a beneficio delle larve e dell’ape regina – è un ricostituente naturale, apporta benefici alla la pelle, al sistema immunitario ed è utile contro l’anemia, ha proprietà antibatteriche, antivirali e antinfiammatorie.
Il veleno d’ape (l’apitossina) è invece una sostanza trasparente e dal sapore amaro che viene rilasciata dalle api operaie o dall’ape regina con funzioni di difesa. Le operaie addette alla protezione dell’alveare dispongono di maggiori quantità di veleno, mentre la quantità di apitossina prodotta dalle api più mature è minore. Il veleno d’ape viene impiegato per alleviare i dolori articolari e per i trattamenti cosmetici, stimolando la produzione di elastina e collagene (è infatti considerato un “botox naturale”). Se ne studia anche la capacità di combattere le cellule tumorali.

• MINUTO 37:55 \ Nota 6 \

LA SCOMPARSA DELLE API

Ad Einstein è attribuita – forse erroneamente – l’affermazione per cui, se le api scomparissero, al pianeta resterebbero solo quattro anni di vita. Questa osservazione dai toni apparentemente distopici evoca uno scenario non troppo distante dalla realtà. L’essenzialità delle api per le altre specie è spesso sottovalutata, e si ha solo una vaga idea del ruolo di questi insetti nell’ecosistema – e nella produzione alimentare. Essendo i principali insetti impollinatori sul pianeta, sono indispensabili affinché le piante con fiore possano riprodursi. Rendono infatti possibile la cosiddetta impollinazione incrociata, che prevede un intervento esterno alla pianta, per cui l’insetto, entrando in contatto con l’apparato riproduttore della stessa, ne trasporta il polline. La sopravvivenza delle specie impollinatrici (che comprendono, oltre alle api, vespe, bombi, formiche, farfalle,coleotteri e molte altre ancora) è da tempo minacciata, e i numeri delle popolazioni di api si sono ridotti considerevolmente negli ultimi decenni. Il fenomeno interessa anche l’Italia. Tutto ciò che va ad alterare il naturale equilibrio dell’habitat dell’insetto, stravolgendone i ritmi e le componenti, rischia di provocarne la progressiva estinzione. In primis ci sono i pesticidi, il cui utilizzo in agricoltura (soprattutto gli insetticidi) ha un impatto negativo sugli alveari e, anche in piccole quantità, comporta un indebolimento della specie, interferendo con la capacità di orientarsi sul territorio e di svolgere i propri compiti. Altro fattore che incide sulla salute dell’ape è poi la presenza di colture intensive, che comportano la perdita di varietà nello scenario vegetale, l’indebolimento del suolo e l’uso di fertilizzanti e pesticidi. I cambiamenti climatici hanno inoltre alterato i ritmi di vita e l’organizzazione del lavoro degli impollinatori, un tempo sincronizzati con le fioriture. Per far fronte alla possibile estinzione dell’ape sono stati elaborati metodi di impollinazione artificiale, che prevedono che questa avvenga manualmente o con l’utilizzo di droni. L’impollinazione manuale si affida al faticoso impegno di chi, con gesti precisi e meccanici di pennello, trasferisce il polline, un fiore alla volta, un movimento lento ed innaturale alla volta, in una sfibrante e grottesca imitazione delle api. Per non arrivare alla sostituzione di un’intera specie animale con processi meccanizzati, i rimedi sono da ricercare nell’agricoltura sostenibile, che fa uso ridotto di pesticidi ed è attenta al territorio, e consente di preservare ciò che sul pianeta ci consente di vivere – un’innegabile priorità per il genere umano. Salvare le api significa, dopotutto, salvare noi stessi.
ISPRA, Il declino delle api e degli impollinatori. Le risposte alle domande più frequenti. Quaderni Natura e Biodiversità n.12/2020;

• MINUTO 1:36:51 \ Nota 7 \

L’ANALISI ORGANOLETTICA DEL MIELE

• Miele di acacia: dorata e fluida dolcezza dall’odore fruttato, con note leggere di vaniglia;
• Miele di castagno: ambrata intensità, connubio di contrasti, con una punta di amaro;
• Miele di eucalipto: nettare caramellato, sapido e denso;
• Miele di rododendro: tiepida unione di aurea delicatezza e acidità;
• Miele di tarassaco: scontro di mandorle e zucchero, luminosa densità;
• Miele di tiglio: liquida e chiara freschezza con note di menta;
I mieli italiani: schede descrittive di alcuni dei principali mieli uniflorali, Piana Ricerca e Consulenza srl unipersonale, Castel S. Pietro Terme, Italia, 2020;

• MINUTO 1:06:29 \ Nota 8 \

LA CERA

Era la Vigilia di Pasqua, e lui teneva le mani giunte davanti a sé, la fronte contratta nel tentativo di restare perfettamente immobile. Aveva otto anni. I grandi, attorno a lui, stavano in silenzio. Tra le file di banchi scorreva una bianca processione che conduceva all’altare il cero. Seduto in prima fila accanto alla madre, continuava a distrarsi. Si perdeva nei dettagli della messa: le vesti del sacerdote, il legno freddo del banco su cui aveva appoggiato i palmi all’inizio della celebrazione, e quel fuoco che illuminava la chiesa, altrimenti immersa nel buio. La messa, di notte, gli appariva diversa, e tutto il suo mistero si condensava in quella fiamma che tracciava ombre sui volti dei familiari. La scena aveva su di lui un effetto ipnotico. Si sporse in avanti, lasciando che le mani ricadessero ai suoi fianchi. -Mamma. – sussurrò. La madre si portò l’indice alle labbra, facendogli segno di stare in silenzio. Era una donna di poche parole. La sua fede era legata al liturgico raccoglimento che trovava in giorni come quello. Era legata ai simboli della fede, alla croce, ai paramenti sacri, alle voci del coro, al cero. Rimase a guardarlo per tutto il tempo, pensando al Risorto, al principio e alla fine, all’alfa e all’omega tracciate sulla cera che si ammorbidiva. Qualcuno ne aveva plasmato la forma, incidendovi l’anno e la croce. Prima ancora, però, c’era stato un alveare, un fecondo ronzio di ali, che aveva reso tutto possibile. Non riuscì a liberarsi di quella suggestione per tutta la durata della messa: le api, la croce, il fuoco e la cera che si scioglieva con ritmo lento e costante.

Bibliografia

A. Colamedici, M. Gancitano, La società della performance. Come uscire dalla caverna, Tlon, 2018;

K. Von Frisch, Il linguaggio delle api, Bollati Boringhieri, 2012;

P. C. Díaz, C. Grüter, W. M. Farina, Floral scents affect the distribution of hive bees around dancers, Behav Ecol Sociobiol, 61:1589–1597, 2007;

T. Munz, Numbering Bees – A History of the Bee Language, Karl von Frisch, the Honeybee Dances, and Twentieth-Century, Max Planck Institute For the History of Science, 2009;

A. Contessi, Le api – biologia, allevamento, prodotti, Bologna, Edagricole, 2004;

E. e L. Mariani Travi, Il paesaggio italiano della rivoluzione industriale: Crespi d’Adda e Schio, Bari 1979;

N. Verdile, Utopia sociale, utopia economica. Le esperienze di San Leucio e di New Lanark, 2009;

ISPRA, Il declino delle api e degli impollinatori. Le risposte alle domande più frequenti. Quaderni Natura e Biodiversità n.12/2020;